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Per le strade di Sarajevo, la città prisma


Tra il confine montenegrino di Hum e la capitale della Bosnia Erzegovina ci sono 95 lunghi, lunghissimi km, un po’ di strade sterrate, mucche sulla carreggiata, qualche sparuta vecchia Yugo troppo a rilento e infinite montagne verdi che assecondano il vostro procedere.


A un certo punto, quasi all’improvviso, appare la periferia di Sarajevo in lontananza.

Sto per entrare in città e ho il cuore in gola.


Provare a raccontare cos’è Sarajevo è cosa troppo difficile. Perché è di una bellezza disarmante. Perché mi ha lasciata senza parole, mi ha girato sottosopra e infine mi ha tracciato un bel solco dentro che difficilmente andrà via.



Sarajevo è viva e autentica, tiene aperte a vista le sue ferite, sui palazzi e nelle strade, negli sguardi un po’ malinconici della gente, come un necessario memento contro tutte le guerre.


Sarajevo non è solo la porta utopica tra Oriente ed Occidente, dove convivono, sin dalla fondazione, e hanno sempre convissuto islamismo, ebraismo, cristianesimo (cattolicesimo e ortodossia), dove tutti parlano la stessa lingua, usando due alfabeti diversi per scriverla (latino e cirillico).

Sarajevo è soprattutto il miglior libro di storia che possiamo leggere.


Visitarla con consapevolezza è un dovere verso chi ha trascorso 1.425 giorni sotto un inferno di bombe, colpi di mortaio, granate improvvise e raffiche di spari dei cecchini (senza contare il dolore successivo, quello latente che non lascia più).

Visitare Sarajevo è anche un dovere verso noi stessi per scoprirci, scoprendo l’altro, per riconoscerci, conoscendo l’altro.



Abbracciare Sarajevo

Il modo migliore per esplorare questa città è abbracciarla dall’alto al tramonto. Salite sulle ripide strade del quartiere di Vratnik e raggiungete Žuta Tabija, il Bastione giallo, costruzione ottomana di inizio ‘700. Da qui il panorama è mozzafiato e una luce dorata si insinua dappertutto. Si può ammirare tutta la città in un solo colpo d’occhio: i monti che la circondano, gli enormi grattacieli della periferia socialista, i bellissimi quartieri ottomani che risalgono sulle colline, i minareti che spuntano qui e lì e il centro di Baščaršija dalle cucine fumanti.

Ma non si vede solo questo: tante, troppe, stele bianche dominano le colline di Kovači e di Alifakovac, intorno a voi. Sono i cimiteri di guerra: non sono gli unici due in città e non sono i più grandi. Li troverete ovunque, triste parte del paesaggio. Nella maggior parte dei casi, se vi avvicinate, troverete tutte le stesse maledette date di morte 1992-1993-1994-1995-1996. I terribili anni dell’assedio. Qualcuno diceva che i cimiteri a Sarajevo sono sempre in collina perché in questo modo, da qualsiasi punto della città, si può sempre indicare dove sono i propri cari. Ed è proprio così.


Per le strade ottomane

Dal Bastione giallo, prima di scendere in centro, dovete prendervi tutto il tempo che vi serve per girovagare senza meta nei labirinti delle antiche mahale ottomane di Kovači, Vratnik e Alifakovac. Qui osserverete la vita lenta di quartiere: gli abitanti nella loro quotidianità, chi fa la spesa al fruttivendolo, chi torna a casa dopo una lunga giornata di lavoro, chi entra nella moschea per pregare e i bambini che giocano liberi sotto lo sguardo vigile dei nonni. Osservate le case bianche con gli infissi in legno chiaro e le moschee che puntellano la zona, ogni minareto ha una decorazione diversa e delicatissima.


Infine raggiungerete Baščaršija, il vero cuore pulsante della Sarajevo ottomana. Verso sera c’è un gran via vai ed è bellissimo. Non vivono qui i Sarajeviti, ci vengono per lavorare: era ed è il quartiere dedicato ai commerci. Chi commercia metalli come a Kazandžiluk (il vicolo dei calderai), chi tessuti preziosi nei caravanserragli (antichi luoghi di sosta per i mercanti e per i loro cavalli come il Morića Han), chi un po’ di tutto nel bazar coperto, chi cucina prelibatezze e chi passeggia e si gode l’aria fresca della sera prima di rientrare a casa. Sarà bellissimo fermarsi in un bar, assaggiare un buon caffé bosniaco versandolo dalle caratteristiche dzezva, accompagnarlo con un baklava (dolce di origine turca preparato con pasta fillo, sciroppo di zucchero, miele, pistacchi, noci o nocciole) e osservare l’inconfondibile mix di culture e religioni che è la vera vittoria di questa città.

Al centro della piazza principale c’è la fontana lignea di acqua potabile Sebilj realizzata nel 1750 e poco distante la bellissima Moschea che porta il nome del quartiere. Ma la più imponente della città è la Moschea Gazi Husrev-beg, del 1350. Distrutta durante gli anni dell’assedio, è stata fedelmente ricostruita recentemente.





Per le strade asburgiche

Nel 1878 l’esercito austroungarico ha la meglio sugli ottomani, conquistando la Bosnia Erzegovina. Il nuovo regime volle allora creare una nuova Sarajevo, costruita letteralmente accanto a quella ottomana, ma più moderna e occidentale, con nuovi edifici elegantissimi, l’arrivo del tram e dell’elettricità. Uno dei principali artefici del nuovo volto di Sarajevo fu il giovane architetto ceco Karl Paržik, che oltre a lottare strenuamente per preservare la città vecchia ottomana, realizzerà uno degli edifici più iconici e amati: la Vijećnica. L’antica Biblioteca Nazionale di Sarajevo.






E’ una meraviglia.

Vi lascerà a bocca aperta, ma è giusto che sappiate che l’edificio che visiterete non è la vera biblioteca inaugurata nel 1896. Nella notte del 25 agosto 1992, durante l’assedio, fu colpita da proiettili incendiari del nemico, che cadevano come stelle cadenti. In un colpo solo le “cupe vampe” distrussero 2 milioni di libri, codici miniati e manoscritti unici. Secoli di storia persi in poche ore. Il bibliotecario Kemal Bakaršić, dirà: «dentro la biblioteca la loro guerra non esisteva, sugli stessi scaffali convivevano scrittori serbi e bosniaci, ebrei e musulmani». Per questo hanno attaccato un bersaglio inerme e preziosissimo: fu una chiara violenza alla cultura del paese, alla biblioteca più importante e vasta dei Balcani.


Il violoncellista Vedran Smailović, unico sopravvissuto del quartetto d’archi dell’Orchestra di Sarajevo, suonò l’Adagio in sol minore di Albinoni per 22 giorni consecutivi sulle sue macerie. Fu una dedica straziante alle 22 vittime uccise mentre erano in fila per comprare il pane ad un forno. In un giorno di tregua.


La biblioteca è stata recentemente ricostruita sui disegni originali e riaperta al pubblico dopo decenni. Le pareti interne sono riccamente decorate seguendo lo stile neomoresco e sul soffitto vi è la vetrata simbolo dell’edificio. Ma i libri non ci sono più…


Da qui fare una passeggiata sulla Miljacka che taglia in due la città è d’obbligo. Senza rendervene conto farete un viaggio nella storia del ‘900. Sul Ponte Latino, il più antico della città, nel 1914, Gravilo Princip assassinò l’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico, evento che diede il via all’inizio della Prima Guerra Mondiale e porrà fine al dominio austro-ungarico in Bosnia.

Poco distante c’è uno dei miei preferiti, il Festina Lente, progettato nel 2012 da tre studenti designers dell’Accademia di Belle Arti.

Un km più avanti si trova il ponte dedicato a Suade e Olga, due studentesse che vennero uccise dai cecchini durante il corteo pacifista del 5 aprile 1992. Furono le prime due vittime dell’assedio che sarebbe iniziato poco dopo.


Adesso se siete stanchi vi dò un consiglio. Raggiungete piazza Trg Oslobođenja e sedetevi ad osservare gli anziani che giocano a scacchi su una gigantesca scacchiera urbana. Chi conosce bene i Balcani sa quanto questo gioco sia onnipresente e amatissimo.



Per le strade jugoslave

Sarajevo è piena zeppa di quartieri socialisti, costruiti dalle autorità titine. Si tratta di giganteschi palazzi dalla facciata triste e depressa che cozzano con il fascino orientale di Bascarsia o con l’eleganza signorile del quartiere asburgico. Chi come me è un amante dell’architettura brutalista deve recarsi nel quartiere popolare anni ’80 di Ciglane, formato da complessi residenziali a schiera, l’angolo più rude della vecchia Jugoslavia.


Addentratevi nella sua giungla di condomini fatiscenti, esplorateli silenziosamente. Sono architetture altissime, sembrano letteralmente arrampicarsi una sull’altra, sul ripido pendio.

Se ve lo state chiedendo, no, non troverete nemmeno un turista qui.

Da Ciglane al Mercato di Markale c’è una passeggiata di un quarto d’ora.

Potrebbe sembrare un mercato dell’est Europa come tanti, con bancarelle che vendono frutta e verdura di produttori locali, fiori, dolciumi e vestiti, ma qui le venditrici hanno lo sguardo di una dolcezza infinita.

Questo posto, che oggi appare così vivo, nasconde un ricordo terribile. Due stragi, una nel 1994 e una nel 1995, fecero perdere la vita sotto le granate a 111 civili e ne ferirono 226 nell’ora di punta.

Fu la strage più rilevante dell’assedio in termini di numero di vittime provocate da un singolo bombardamento. Il segno del massacro è ancora lì, per terra, evidenziato con una vernice rossa che il tempo sta schiarendo: è la rosa più atroce di Sarajevo, vicino ad una targa che reca i nomi di tutte le vittime.




Attraversate la Milijacka e prendete la storica funivia žičara che vi porterà sul monte Trebevic in soli 9 minuti, con un panorama niente male!

Una volta sul monte raggiungete la famosa pista da slittino e bob. Questi slalom di cemento che si fanno strada tra i boschi, coloratissimi di murales e dipinti, sono solo l’ombra del loro passato. Le Olimpiadi del 1984 furono uno degli eventi più significativi della storia della Jugoslavia, sulla città di Sarajevo si accesero i riflettori di tutta Europa. Solo una decina di anni più tardi, i luoghi della passata gloria sportiva, vennero trasformati in postazioni strategiche delle forze serbo bosniache, luoghi di tortura e sangue: infine trasformati in un enorme campo minato (quindi occhio a non uscire dai sentieri tracciati).

Solo da qualche anno è possibile per i sarajeviti salire sul loro adorato Trebević e ripercorrere i sentieri tra queste montagne. Gli anni bui della guerra quassù sono stati cancellati da colate di cemento, da un lungo lavoro di sminamento e dal tentativo, riuscito, di restituire pace e colore a questi luoghi.



INDIRIZZI (per le strade di Sarajevo - oggi)

Café Divan, Sarači 77

Per bere un buon caffè bosniaco andate in questo caffé di Bascarsjia, all’interno del Morića Han, antico caravanserraglio cinquecentesco, dove sarete circondati da local.




Pekara Alifakovac, Veliki Alifakovac

Volete assaggiare il pane tipico di Sarajevo? Il più buon somun lo trovate ad Alifakovac e vi aiuterà ad affrontare la ripida salita necessaria alla visita del quartiere.


ASDŽ Aščinica, Ćurčiluk mali 3

Si tratta di una trattoria tipica specializzata in burek di vari tipi, cucinati sulla brace in pentole sospese. Il burek originale, di origini turche, è composto da uno strato sottilissimo di pasta sfoglia farcita con carne macinata (non di maiale). Le altre varianti sono con il formaggio (sirnica), con spinaci e formaggio (zeljanica) e con patate e cipolle (krompiruša). Da accompagnare sempre con yogurt che serve per digerire.


Buregdzinica della Moschea, Cizmedziluk veliki

Questo panificio specializzato in burek si trova in una stradina laterale della Moschea Gazi Husrev-beg. A metà strada di Cizmedziluk veliki troverete un sottopassaggio che vi farà accedere alla sua corte interna. Da non perdere.



La Cava, Kundurdžiluk 1

Piccola enoteca ai margini di Baščaršija. Molto fornita con etichette locali e non, di ottima qualità. Vi consiglio di assaggiare un calice di Blatina, una delle migliori varietà locali, e uno di Vranac, vigneto del Montenegro ma prodotto anche nella zona di Trebinje nel Monastero Ortodosso di Tvrdoš.


Kibe Mahala, Vrbanjuša 106

Per una cena speciale con una vista mozzafiato che fa venire davvero da piangere. Il ristorante si trova in collina, lontano dal centro. Si raggiunge a piedi con lunghissime e faticose salite, o in taxi. Le specialità da provare sono l’agnello allo spiedo cucinato sui carboni, le foglie di vite arrotolate a fagottino e ripiene di carne (dolma), le cipolle ripiene (sogan dolma) e la Begova corba (zuppa locale con brodo di pollo, okra e panna). Meglio prenotare in anticipo e chiedere di un tavolo panoramico.


Veganer Sarajevo, Čobanija

Street food a due passi dall’Accademia di Belle Arti e dal Ponte Festina Lente, posto fondamentale se siete stanchi di cevapi e carne. Da provare anche se la parola vegano vi fa storcere il naso: piacerà a tutti.


Kino Bosna, Alipašina 19

Se avete la fortuna di essere a Sarajevo di lunedì o giovedì sera dovete fare solo una cosa: passare la serata qui, all’interno dell’ex cinema “Kino Prvi Maj” costruito nel 1928. Probabilmente sarete gli unici “forestieri” e sarete circondati da balli sfrenati su musiche struggenti balcaniche. L’ingresso, non facile da trovare, si trova nella parallela interna della via principale di Ciglane, Alipašina.


Bookstore Connectum, Ćurčiluk veliki 27

Casa editrice e libreria fornitissima con tanti testi tradotti anche in Italiano.


War Childhood Museum, Logavina 30-32

A Sarajevo c’è un luogo necessario, che non merita solamente una sosta. Un luogo dove vi farete male, ma sarebbe davvero un peccato non conoscere. Il museo, aperto nel 2017 e premiato solo un anno dopo del prestigioso premio del Council of Europe Museum Prize, raccoglie alcuni oggetti dei bambini di 30 anni fa, per raccontare l’infanzia sotto le bombe. È un percorso nei ricordi e nei sogni dei bambini, il più grande archivio mondiale di oggetti relativi all'infanzia durante i conflitti.

E quando uscite dal museo, cercate il bar più vicino e andate a bere una buona Sarajevsko Pivo, ne avrete bisogno. Lo so.


Libri consigliati prima di partire

"La fioraia di Sarajevo" di Mario Boccia, illustrazioni di Sonia Maria Luce Possentini (Orecchio Acerbo)

“Sarajevo centro del mondo. Diario di un trasloco” di Dzevad Karahasan (Connectum)

“Racconti di Sarajevo” di Ivo Andrić (Newton Compton)

“Diario di Zlata. Una bambina racconta Sarajevo sotto le bombe” di Zlata Filipović (Rizzoli)

“Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini (Mondadori)




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